Una delle ipocrisie del decreto sul fisco comunale è la fissazione al 7,6 per mille dell’aliquota di equilibrio della futura Imposta municipale propria (Imu)
I numeri forniti dal Governo e contenuti nel decreto e nella relazione tecnica che lo accompagna non sono coerenti con l’aliquota indicata. Eccone la dimostrazione.
La base imponibile dell’Imu (valore degli immobili diversi dalle prime case) è pari a 1.669 miliardi di euro, come risulta dalla relazione tecnica allegata al decreto (fonte Agenzia del territorio). Da essa vanno tolti gli immobili delle Onlus e degli enti religiosi, che nella prima versione del decreto erano inclusi nella base imponibile. Il valore di questi è valutabile in 84 miliardi di euro (fonte Ifel Anci). Quindi, la base imponibile dell’Imu è pari a 1.669 meno 84 uguale 1.585 miliardi. Il gettito obiettivo dell’Imu deve essere pari a 11,57 miliardi di euro, sempre secondo le stime del Governo. Questo ammontare è calcolato sotto il vincolo di invarianza finanziaria delle spese e delle entrate dei Comuni.
A formare il gettito dell’Imu concorre, per una parte, la quota di base imponibile ad aliquota piena (7,6 per mille) e, per l’altra parte, la restante base imponibile ad aliquota dimezzata, destinata agli immobili in affitto (3,8 per mille).
Il valore degli immobili dati in affitto dalle sole persone fisiche è pari a 350 miliardi (fonte Agenzia del territorio). Quindi, il gettito ricavabile da questa quota di base imponibile è pari a 350 miliardi per 0,0038 uguale 1,33 miliardi. Restano 1.585 meno 350 uguale 1.235 miliardi di base imponibile ad aliquota piena. Il gettito ricavabile è pari a 1.235 per 0,0076 uguale 9,386 miliardi. Sommando 9,386 più 1,33 si ottiene un gettito di 10,716 miliardi, inferiore di più di 800 milioni al gettito obiettivo.
In realtà, è facile calcolare che per raggiungere il gettito obiettivo, con la ripartizione della base imponibile in 1.235 miliardi ad aliquota piena e 350 ad aliquota agevolata, è necessaria un’aliquota dell’8,2 per mille.
Non è finita…Il decreto infatti introduce la “cedolare secca”, che sarebbe meglio chiamare imposta sostitutiva sui redditi da locazione immobiliare ad uso abitativo. Il Governo stima nella sua relazione tecnica un aumento del 35% in due anni di immobili ad uso abitativo oggi dichiarati a disposizione, ma che domani emergeranno in chiaro come affittati (e copre con questo gettito ipotetico le perdite legate alla cedolare secca). Se queste stime fossero corrette, si dovrebbe coerentemente tenere conto che da qui al 2014, anno di introduzione della nuova Imu, la quota di base imponibile ad aliquota agevolata crescerà. Se supponiamo che la crescita sia del 35%, la base imponibile ad aliquota agevolata non sarà più 350, ma 472,5 miliardi. La base imponibile ad aliquota piena si ridurrà quindi a 1.112,5 miliardi. Con lo stesso procedimento di sopra, è facile vedere che l’aliquota di equilibrio in questo caso diventa l’8,5 per mille.
Insomma: usando i dati che il Governo espone in relazione tecnica emerge che l’aliquota del 7,6 per mille, come aliquota che mette tutto in equilibrio, è sicuramente sottostimata. Se, poi, il Governo avesse ragione sull’emersione di “nero” conseguente alla cedolare secca, l’aliquota media dell’Imu sarà l’8,5 per mille. Saranno i Comuni, e non il Governo, a dover dare la cattiva notizia: la forchetta di “autonomia” che il decreto concede ai Comuni è di 0,3 punti, quindi l’aliquota effettiva dell’Imu potrà variare da 4,6 a 10,6 per mille. Ma, al di là del “gioco del cerino” politico, forse non hanno tutti i torti le associazioni imprenditoriali che, avendo fatto un po’ di conti negli ultimi giorni, cominciano a temere un tendenziale raddoppio dell’Ici attualmente pagata sugli immobili ad uso produttivo.