Proponiamo la sintesi del discorso che ieri, venerdì, l'Arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi ha rivolto agli amministratori e ai politici locali lecchesi. Il testo è stato fornito dell'Ufficio Comunicazioni Sociali delle Curia. Chi vuole leggere l'intervento completo può invece trovarlo sul blog del Partito Democratico del Circolo di Merate.
Come Vescovo sento il bisogno di conoscere il vissuto della gente che mi è stata affidata per poterlo condividere e, così, servirlo con la missione ricevuta, che è quella di annunciare il Vangelo in tutte le sue esigenze, anche in quelle della vita sociale. In questo orizzonte si situa anche il vostro vissuto di amministratori locali. Nei vostri confronti nutro stima e gratitudine.
Come Vescovo sento il bisogno di conoscere il vissuto della gente che mi è stata affidata per poterlo condividere e, così, servirlo con la missione ricevuta, che è quella di annunciare il Vangelo in tutte le sue esigenze, anche in quelle della vita sociale. In questo orizzonte si situa anche il vostro vissuto di amministratori locali. Nei vostri confronti nutro stima e gratitudine.
1. I cristiani e la politica: qual è il posto giusto?
Il mio colloquio parte da una questione che, in questi tempi, viene sollevata più volte: Qual è il posto dei cattolici in politica? È a destra, a sinistra, al centro? In politica proprio il riferimento all’essere cattolici divide anziché unire. Non si possono negare la fatica, il disagio, la sofferenza di cristiani che non poche volte si contrappongono tra loro su ciò che li dovrebbe unire: il crocifisso, ad esempio… Qual è il posto dei cristiani in politica? È solo una questione di schieramento? Il posto dei politici cristiani è la stessa comunità cristiana. Senza riferimento alla comunità cristiana, senza una partecipazione attiva alla vita della comunità (con la frequenza all’Eucaristia, con l’ascolto della Parola e dell’insegnamento della Chiesa) come ci si può qualificare cristiani? La vera questione del posto dei cristiani in politica non riguarda quindi quale schieramento seguire o quale alleanza preferire, ma è quella di scegliere Cristo, ogni giorno, con una vita di fede autentica e, di conseguenza, con decisioni e comportamenti coerenti al Vangelo. Dire che il posto dei politici è la comunità cristiana stessa significa, inoltre, affermare l’esigenza di un legame particolarmente forte tra la gente e chi è chiamato ad occuparsi della “cosa pubblica”.
2. L’altro “posto”: il servizio ai più poveri
Un altro posto nel quale i cristiani in politica possono radunarsi, confrontarsi, ritrovarsi, costruire una casa comune è il servizio ai più poveri. Un servizio che i politici e gli amministratori cristiani, chiamati ad impegnarsi nei “servizi sociali” o per i “giovani”, vivranno con una dedizione particolare poiché, proprio in questi ambiti, sono aiutati in modo più diretto e coinvolgente a toccare con mano le povertà delle persone e delle famiglie. Mi verrebbe quasi da dire che ci dovrebbe essere una predilezione tutta speciale da parte dei cattolici per gli assessorati che di questi temi si occupano. Non si pensi però che soltanto i cristiani siano autorizzati ad occuparsene, ritenendo gli altri ambiti dell’amministrare meno importanti. In realtà, tutti gli ambiti, ciascuno a suo modo, sono importanti e tutti possono e devono essere permeati dall’attenzione preferenziale per i più poveri.
3. La formazione: dovere irrinunciabile
Non ci si può “improvvisare” al servizio degli altri, tanto meno in politica. Non basta – per rinnovare l’ethos politico – mettere in campo semplicemente “facce nuove”. Occorrono persone serie, preparate, competenti. Gli stessi partiti e movimenti politici dovrebbero tornare a educare al senso alto della politica: non solo alle tecniche per conquistare il consenso, ma anche e soprattutto al valore e al significato profondo del proprio servizio, agli stili di comportamento, alla conoscenza della tradizione sociale, civile e politica del Paese. Gli stessi partiti e movimenti, proprio perché sono strumenti fondamentali della democrazia, devono difendersi dal pericolo di ridursi a comitati elettorali che, a competizione terminata, finiscono per esaurire il proprio compito.
4. Una vocazione da promuovere
Suscitare la sensibilità e curare la formazione sugli argomenti sociopolitici è compito anche della Chiesa. L’insegnamento sociale della Chiesa, parte irrinunciabile dell’evangelizzazione, non vuole essere un’imposizione né tanto meno una ingerenza in ambito civile, ma una guida, un orientamento, un sostegno al discernimento del bene comune in tempi di complessità. Siamo di fronte ad una vera e propria “vocazione” da riconoscere e far maturare in ambito sociopolitico a servizio della comunità. Certo, come in ogni altra vocazione, è necessario discernere ed educare: discernere verificando se si hanno le qualità necessarie, educare riconoscendo la presenza di una chiamata – che ultimamente viene da Dio – a servire gli altri, corrispondendovi con preparazione. Se non è per vocazione e per il desiderio gratuito di “servire”, per cos’altro un cristiano si mette a disposizione degli altri in questo ambito? Per interesse? Per prestigio? Per sete di potere? Aggiungo un’altra sottolineatura: questa sensibilità e formazione devono coinvolgere in maniera particolare i giovani. Le parrocchie, gli oratori, le associazioni e i movimenti devono sentire la responsabilità di offrire con fiducia ai giovani proposte formative orientate in questa linea. Nelle comunità parrocchiali spesso si fatica a parlare di politica, ad educare ad essa, a ragionare sui grandi temi sociali per il rischio di passare immediatamente alle contrapposizioni, alle rotture, alle accuse reciproche, alla corsa per definirsi “più cattolici” degli altri. Questo è purtroppo un segno di immaturità e di fragilità delle nostre comunità che non permettono di educare alla politica, rendono più difficile – se non impossibile – presentare l’insegnamento e lo spirito del Vangelo, allontanano i giovani e costituiscono un serio ostacolo per vivere e testimoniare – nella comunità e al mondo – la comunione dei discepoli del Signore.
5. Per il bene comune, per la stessa comunità
Le istituzioni civili sono significativamente presenti sul territorio, sono attive quanto le parrocchie. Tra la Chiesa locale e le istituzioni del territorio dovrebbe attivarsi sempre di più una forma di corresponsabilità. Certo, mantenendo la specificità delle competenze e dei campi di azione, conservando autonomia e libertà. Le specificità però non devono rimanere chiuse in se stesse, entrare in rete: trovare così la propria precisa collocazione e insieme il reciproco arricchimento.
6. Contro la “desertificazione” del territorio
Le nostre città e i nostri paesi corrono il rischio di una specie di “desertificazione”: serve, ed è urgente, un’azione programmata e precisa contro questo degrado. Ma di cosa si tratta? Il territorio, dai piccoli comuni ai quartieri delle città, rischia di ridursi a semplice dormitorio, cioè di perdere o comunque non valorizzare adeguatamente le sue forze migliori. È in atto una forma di invecchiamento, che non è solo inerente all’innalzamento dell’età media della popolazione. Riguarda piuttosto l’assenza dalle nostre comunità dei giovani, sempre più attratti (per scelta o per necessità) dalla metropoli e dai grandi centri urbani. Riguarda la fatica – spesso conseguente al primo dato – di provvedere al giusto ricambio generazionale nell’impegno politico e amministrativo, nel volontariato, nell’azione pastorale della Chiesa… Ora, per mantenere vive le nostre comunità (cristiane e civili) serve un’anima: occorre ridarla al territorio, è necessario rinnovarla. La gestione della complessa e articolata “macchina comunale” può esaurire tutte le energie togliendo tempo, creatività e attenzione all’ascolto diretto del territorio e dei suoi bisogni, cioè delle persone e delle loro esigenze. Serve – nelle comunità cristiane e nelle amministrazioni – un colpo d’ali, un di più di creatività, un allargamento di orizzonte, un supplemento di dedizione, affinché gli amministratori e coloro che si impegnano nelle realtà pubbliche divengano veri protagonisti del territorio rendendo viva, partecipe e corresponsabile tutta la comunità. Far sentire gli abitanti di un territorio espressione viva di una comunità non implica necessariamente stanziamenti di soldi. È in primis una questione culturale!
7. Amministrare bene il “locale” per risolvere i problemi globali
I grandi problemi che interrogano e preoccupano il nostro Paese e i popoli del mondo, quando sono rilevati e considerati a livello locale, assumono un volto umano. Sul territorio i grandi problemi – pur nelle difficoltà obiettive – sono più affrontabili: smettono di essere “lontani”, diventano “vicini”, assumendo così il volto di persone concrete che chiedono aiuto.
8. Come il “buon samaritano”
Mentre condivido con voi queste riflessioni mi si impone quasi naturalmente alla mente e al cuore una notissima pagina del Vangelo, che può esserci di singolare aiuto per riprendere e approfondire i pensieri sinora presentati. Penso al vangelo di Luca e alla parabola del “buon samaritano”. Quanto doveva essere insicuro e pericoloso il tratto di strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico! Dell’uomo soccorso dal “buon samaritano” non sappiamo nulla, se non che aveva subìto una grave aggressione da parte di alcuni malviventi, che – oltre a derubarlo – lo avevano spogliato e ferito, lasciandolo “mezzo morto”. Anche ai tempi di Gesù il tema della tutela della sicurezza personale e del territorio non era una questione trascurabile! È interessante notare come la preoccupazione di san Luca non sia tanto quella di ricercare i colpevoli del misfatto (che comunque sono qualificati “briganti”), quanto di mostrare l’azione di soccorso del ferito, di mettere in luce il comportamento virtuoso del samaritano. La loro azione rende più accogliente, meno spaventoso quel territorio descritto come infido. Quanto anche le nostre città, i nostri quartieri, i nostri paesi potrebbero essere più accoglienti, più vivi, più abitabili se sempre più persone agissero come il samaritano e l’albergatore della parabola! Già molti amministratori riconosco i gesti del samaritano e dell’albergatore. Certo la tutela della sicurezza dei suoi abitanti non si può ridurre al soccorso di quanti subiscono violenza. Quel territorio dove grande e costante è l’attenzione all’altro sarà un territorio presidiato, più sicuro, più abitabile... più umano! Anche oggi la delinquenza prolifera e la malavita agisce con maggiore facilità laddove regnano l’indifferenza e l’insensibilità. L’autentica convivenza, la vera sicurezza, la lieta vivibilità delle nostre comunità possono essere ottenute solo se si diffonderà sempre più questo clima di cura: tutti – in particolare chi è attivo nell’amministrare il bene comune – devono fare la propria parte.
+ Dionigi Card. Tettamazi
Arcivescovo
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