sabato 5 maggio 2012

Falsi studi in Albania e soldi in Tanzania, sulla Lega la nemesi degli immigrati-nemici

Sembra proprio che da qualche tempo Nemesi, divina figlia della Notte nonché «flagello degli uomini mortali», definizione di Esiodo, abbia chiesto e ottenuto la cittadinanza padana. Vedi anche questa storia della laurea albanese del Trota, che pure rimanda e fa l' occhietto e comunque si pone in evoluta e controversa continuità con la finta laurea del papà del Trota; per quanto, a differenza del futuro senatùr, non risulta che Renzo Bossi abbia organizzato una festa per celebrare il suo trionfo all' Universiteti Kristal di Tirana. Ma non è questo, o meglio non è solo questo che spiega il volteggiare di Nemesi, di solito chiamata a punire con la spada eccessi e sregolatezze, sopra le tante magagne della Lega. E' che a proposito di albanesi all' inizio dell' estate 2009 proprio al Trota, fresco responsabile mediatico, venne attribuita la graziosa idea di insediare un videogame sulla pagina Facebook della Lega. Si chiamava «Rimbalza il clandestino» e mimando le norme del «pacchetto di sicurezza»- come l' ha ricostruito Furio Colombo nel suo recentissimo Contro la Lega (Laterza) - il giocatore era chiamato a impedire l' ingresso, la sopravvivenza, la casa, la scuola, il lavoro, il matrimonio, l' ospedale agli immigrati, dichiarati irregolari dalla Bossi-Fini. L' eventuale laurea non era contemplata. Il passatempo suscitò qualche protesta. «Attaccano mio figlio - disse Bossi - ma pensano a me». Del resto, prima che il Trota varcasse all' incontrario il canale di Otranto per coronare i suoi studi, il Senatùr invocava cannoniere e blocchi navali contro i barconi e gli albanesi «abituati a vivere sulle spalle degli altri». Insomma: « foeura di ball ». Il senatore Stiffoni, dal canto suo, quello appena espulso per la faccenda dei diamanti, è arrivato a rimpiangere il forno crematorio di Santa Bona, dalle sue parti, contro due clandestini protagonisti di una turpe vicenda. E se più o meno nello stesso periodo il barbaro sognante Salvini ha proposto vagoni della metro «per soli milanesi», una volta Borghezio, che non sogna tantissimo, salì su un treno per spruzzare insetticida su alcune donne - lui diceva prostitute - africane. Per Bossi chi veniva da quell' immenso continente si meritava perciò stesso un paio di nomignoli. Uno è «baluba», poi entrato nel lessico leghista per indicare i padani più ottusi, e l' altro è «bingo-bongo». Quest' ultimo simpatico appellativo il Senatùr l' ha usato in pubblico nel 2003, prima che gli venisse il coccolone. Dopo, sembrava inizialmente divenuto più buono, ma poi l' ha ridetto nel 2010, sempre riferendosi a negretti «capaci di piangere con un occhio e a ridere con l' altro. Io invece non faccio il furbo». Ma anche sull' Africa, oltre che sulla pretesa furbizia, si direbbe che Nemesi abbia lavorato con successo. Lo si deduce dalla vicenda dei milioni della Lega arrivati, guarda un po', in Tanzania. E lì addirittura rifiutati, magari da qualche «bingo-bongo», perché sospetti. Ce li aveva fatti arrivare, attraverso un assai discutibile giro, il tesoriere autodesignatosi «il più pazzo del mondo». E non per assumere la gabbia geografica mentale dei leghisti, ma così come Rosi Mauro è di Brindisi, Belsito è calabrese: non solo comprensibilmente legato alla sua splendida terra, ma purtroppo pare anche e soprattutto a certe pericolose organizzazioni che prosperano da quelle parti. E allora anche qui l' antica e spietatissima divinità preposta alla giustizia distributiva ha compiuto il suo terzo capolavoro: dopo aver ruggito contro gli insegnanti meridionali (che bocciavano il Trota), la Lega si ritrova ora legata mani e piedi niente meno che alla ' ndrangheta. Per aver detto molto, ma molto meno in tv, nel 2010 Saviano dovette subire una prolusione riparatoria di un impettito Maroni, con mosca sul mento, occhiali rossi e micropochette verde. A rivederlo col senno di poi su YouTube fa un certo effetto.

Filippo Ceccarelli

venerdì 4 maggio 2012

Ci aspettavamo di più

Pubblichiamo la lettera scritta al Segretario Nazionale del PD Pierluigi Bersani dai Sindaci della Provincia di Lecco iscritti e simpatizzanti del Partito Democratici

Alla cortese attenzione
di Pierluigi Bersani
Segretario Nazionale Partito Democratico

Carissimo Segretario,
ti scriviamo in qualità di Sindaci della Provincia di Lecco iscritti e simpatizzanti del Partito Democratico, per portare alla tua attenzione le preoccupazioni e le forti criticità che colpiscono la finanza locale e le amministrazioni nella loro quotidiana azione al servizio della cittadinanza.
Siamo consapevoli del momento estremamente difficile che stiamo attraversando e del sacrificio che ci viene richiesto - consci dell’eredità del governo di Silvio Berlusconi e della gravosa responsabilità che il nostro Partito si è assunta sostenendo l’esecutivo guidato da Mario Monti - ma dobbiamo riconoscere con amarezza che ci aspettavamo di più:
  • più rispetto per i cittadini e le famiglie che con questa crisi si ritrovano a dover fare i conti con sempre maggiori sforzi;
  • più rispetto per il lavoro che gli amministratori comunali affrontano ogni giorno;
  • più rispetto per il sistema economico-territoriale con la promozione di nuove politiche di sviluppo e di crescita.
Siamo altrettanto certi che tali questioni sono a te particolarmente note, ma nondimeno pesanti tanto da mettere con le spalle al muro il Sistema Locale.
Ai pluriennali interventi sul patto di stabilità, al blocco dei residui passivi e dei pagamenti alle Imprese locali, fino ai tagli ai trasferimenti erariali, si sono aggiunte le problematiche della tesoreria unica e, da ultima, le “imbarazzanti” incertezze sull’IMU. Ne sono la riprova gli ultimi emendamenti al decreto sulle semplificazioni fiscali riguardo la rateizzazione degli acconti IMU che, hanno forse intercettato le esigenze dei singoli cittadini, al prezzo però di azzerare nel mese di giugno i fondi cassa comunali.
Caro Pierluigi, l’amarezza è grande e cresce in modo inversamente proporzionale alle aspettative verso un governo tecnico – di professori – incapace ad oggi di chiudere i conti e consentirci di approvare i bilanci di previsione 2012 in termini ragionevoli.
Noi amministratori – da sempre in prima linea nell’ascolto e nell’impegno a risolvere le problematiche quotidiane della gente comune - iniziamo a perdere in convinzione, quasi iniziassimo a sentire che ci manca la terra sotto i piedi. Le risposte sono sempre più lontane da noi - una volta a tutela dei farmacisti, altre dei taxisti, avvocati - eppure noi siamo uomini e donne dello Stato, delle istituzioni!
Oggi più che mai ti chiediamo un segnale forte - contrassegnato da una risposta chiara alle necessità dei comuni italiani - che manca da troppo tempo e può essere la risultante di un tuo intervento diretto in sede partitica e parlamentare.
Ti ringraziamo fin d’ora per l’attenzione che vorrai prestarci, i nostri più sinceri saluti.
Lecco, 02.05.2012

Gian Mario Fragomeli Sindaco di Cassago Brianza
e Responsabile EE. LL. PD Lecco,
Virginio Brivio Sindaco di Lecco, Mariani Riccardo Sindaco di Mandello del Lario, Tentori Mario Sindaco di Barzago. Colombo Antonio Sindaco di Casatenovo, Alessandro Salvioni Sindaco di Robbiate, Paolo Strina Sindaco di Osnago, Guido Besana Sindaco di Cremella, Alessandro Origo Sindaco di Verderio Inferiore, Livio Bonacina Sindaco di Galbiate, Raffaele Grega Sindaco di Colico

giovedì 3 maggio 2012

Imu: "Fate quello che dico, non fate quello che faccio"

Zappingo annoiato e mentre passo da La7 mi sembra di scorgere un volto noto, torno al canale prima e sì è proprio lui, è il nostro beneamato Sindaco di Merate Andrea Ambrogio Robbiani. Si parla di IMU e con il suo solito modo di fare cerca di rubare la parola alla collega di Vicenza ospite in studio. Il conduttore non si lascia intimidire e lo zittisce…. Vabbè, il carattere è carattere, ormai lo conosciamo tutti… Finalmente lo lasciano inetrvenire, ma sarebbe stato meglio per lui e per tutti i cittadini che rappresenta che stesse zitto. Paonazzo in volto attacca con la solita solfa, senza nessuna fantasia: al sud si evadono le tasse, la doppia manovra del Mariolino Monti, i nostri Comuni virtuosi e il blablabla trito e ritrito dei leghisti che hanno governato in Italia negli ultimi quindi anni ma non hanno fatto assolutamente nulla. In mano stringe pure la fascia tricolore… Sarebbe stato interessante che qualcuno si permettesse di fare presente a lui e a tutti i telespettatori che mentre il suo capo barbaro sognate Roberto Maroni parla di pizzo si Stato, a Merate lui ha messo le aliquote IMU sulla prima casa allo al 4,8% e sulle seconde abitazioni e le attività commerciali e produttive al 9,1%. Sono percentuali molto maggiorate rispetto al minimo indicato dalla legge. Troppo facile voler passare per paladino delle famiglie e intanto aumentare le tasse!!! Se è così convinto di quello che dice cominci ad abbassare subito al minimo le aliquote dell’IMU e l’Irpef comunale. Sindaco: fatti non pugnette!!!

Marco Airoldi

mercoledì 2 maggio 2012

Cosa cambiare per vincere la crisi

“Chi ritiene che in un mondo finito produzione e consumi possano crescere indefinitamente, o è un folle, o è un economista.”

Grande complessità, molteplici aspetti - e discipline - interessati, presenza di nuovi fattori che possono ribaltare le prospettive precedenti: questi forse gli aspetti salienti della crisi che sta colpendo il mondo da ormai 4 anni, senza prospettive di rapidi miglioramenti. Cerchiamo di dipanare alcuni fili di questa matassa, tanto intricata da dare motivo a repentini cambiamenti di posizione anche da parte di autorevoli opinionisti, persino premi Nobel per l’economia. Le due principali posizioni di pensiero contrappongono i rigoristi, o “moralisti”, che vogliono anzitutto garantire il pareggio dei bilanci, e coloro che invece, seguendo l’impostazione introdotta da Keynes, sostengono l’opportunità di andare anche in deficit, pur di mettere in atto politiche espansive che consentano di superare le difficoltà congiunturali. La principale differenza tra le due posizioni è forse la diversa valutazione dell’indebitamento o, più in generale, dell’intervento pubblico: da contenere per i primi, da non demonizzare per i secondi.
Il debito può svolgere una funzione preziosa quando si abbiano ragionevoli aspettative di realizzarne vantaggi futuri, o, in altri termini, di farne un buon investimento. Uno studente capace e meritevole, ad es. può opportunamente indebitarsi - se la famiglia non è in grado di mantenerlo agli studi - perché così potrà migliorare la propria vita. Dovrà anche scegliere correttamente l’orientamento negli studi; ma questa è una qualità della cultura. Nel commercio e nell’economia in generale il debito è la linfa che fa crescere la pianta. Più arduo è sostenere la validità dell’indebitamento per il consumo: difficile pensare a consumi che migliorino la vita futura. Qui non si può non menzionare il caso che ha innescato l’attuale crisi mondiale: i mutui ipotecari per l’acquisto della casa, sollecitati dalle banche americane in forte liquidità, a cittadini di basso reddito. Avendo successivamente perso lavoro e guadagni, questi si sono trovati nella necessità di recedere dal mutuo, lasciando la casa alle banche. La vendita simultanea di molte case ne ha fatto crollare il prezzo e le banche stesse sono arrivate all’orlo del fallimento. Un massiccio intervento finanziario da parte del governo le ha salvate, ma non è stato sufficiente a frenare l’espandersi della crisi a livello mondiale. Da notare che anche l’acquisizione di comportamenti virtuosi può essere un investimento: risparmiare sul fumo, ad es. migliora la qualità della vita anche per il futuro.
L’indebitamento pubblico può avere aspetti assai diversi da quello privato. Keynes ha dimostrato che in presenza di capacità produttiva inutilizzata (macchine ferme) è giustificata una spesa pubblica in deficit per stimolare i consumi (facendo lavori al limite inutili), riavviando così il ciclo produttivo. Questa posizione implica l’abbandono del laissez faire, della fiducia che il mercato possa risolvere da solo tutti i problemi nel modo ottimale; invece lo Stato deve assolvere un ruolo di governo e di guida anche nell’economia. È chiaro che su questa linea si possono avere abusi, corruzioni, scaricamento di problemi sulle generazioni future, ecc. ma secondo questa opinione i benefici derivanti da corretti interventi pubblici superano di molto gli inconvenienti. Tornando alla crisi attuale le posizioni rigoriste, inizialmente prevalenti, sembrano lasciare spazio a favore di interventi per la crescita. In ogni caso permane la confusione di dover fare contemporaneamente due cose tra loro difficilmente compatibili, se non contraddittorie. Sostenibilità. A complicare ulteriormente il quadro vanno ricordati alcuni aspetti sui quali di solito si preferisce sorvolare. Già dai tempi delle crisi energetiche degli anni ’70 sono aumentati coloro che ritengono insostenibile l’attuale modello di sviluppo. Esso è basato sulla corsa indefinita tra produzione e consumi, alimentata dalla pubblicità e da altre forme sempre più perfezionate di convinzione dei consumatori e di creazione di bisogni. Ai consumatori vengono così imposte cose che non sono nel loro vero interesse, bensì dei produttori. Un esempio banale potrebbe essere l’esplosione delle malattie “del benessere” indotta anche dall’arricchimento commerciale della dieta (junk food). Oltre a queste distorsioni non si possono dimenticare le preoccupazioni per l’alterazione globale del clima e dell’ambiente, la desertificazione di numerosi territori, il permanere – e con la crisi l’estendersi – di povertà e sottonutrizione, infine l’accentuarsi, anche nei paesi ricchi, degli squilibri e delle differenze sociali – le quali, per inciso, sono da molti indicate tra le cause più profonde della crisi. Sono tutti effetti indesiderati del modello di sviluppo, che dovrebbe pertanto essere sottoposto a radicali cambiamenti. Sarebbe necessaria una sobrietà (scelta) piuttosto che una austerità (imposta). Ma la gente, abituata per decenni ad attese di crescente benessere, appare terribilmente restia ad ogni idea di sacrificio o decrescita. Lo si può verificare quotidianamente, oggi che si sono rese indispensabili certe forme di austerità.
 Crescita immateriale. Se si fosse presa sul serio la sostenibilità dello sviluppo, maggiore spazio avrebbe avuto nel dibattito lo sviluppo umano. Ne ha parlato l’ONU ormai dal 1990, proponendolo come ampliamento delle opportunità e delle capacità a disposizione di ogni essere umano, accanto al parametro economico del PIL (prodotto interno lordo). Dà peso quindi ad aspetti immateriali che il PIL trascura, come la crescita delle capacità di ciascuno. Sembra questa l’alternativa da proporre alla insaziabile fame di crescita che è stata instillata nella nostra psiche: una crescita immateriale anziché materiale, basata cioè su migliori conoscenze, educazione, cultura, ambiente, arte e simili. Forse con la cultura non si campa, come hanno detto certi penosi politici italiani. Ma si diventa più uomini, si percepiscono meglio le finalità, si sa dove andare, si diventa meno facilmente pedine nelle mani di politici corrotti o di potentati economici. I beni immateriali, a differenza di quelli materiali, possono essere consumati indefinitamente senza inquinare; sono poi quelli più propriamente umani, in grado di appagare personalità mature, sviluppando anche il senso critico (ad es. verso demagogia o pubblicità). Con l’avanzare degli anni certi bisogni materiali, come il cibo, si riducono: diventa necessaria maggiore frugalità. Analogamente per la società la sobrietà potrebbe essere presentata come virtù della maturità, in un quadro di crescita immateriale. Consente una vita migliore anche per il futuro: quindi può essere considerata un vero e proprio investimento.
Quale spesa pubblica? Lo sviluppo umano e immateriale sembra l’unica via per conciliare le due posizioni divergenti del rigore e della crescita. La spesa pubblica potrebbe essere molto ridotta qualora la si sottoponesse ad un esame razionale: le enormi spese militari appaiono sempre più ingiustificate per un paese integrato nell’Europa, che da molti anni non subisce attacchi dall’esterno; la necessità delle grandi infrastrutture materiali è diventata secondaria dopo i grandi progressi nelle telecomunicazioni, e in ogni caso fattore poco rilevante per lo sviluppo di una società sempre più immateriale; la pubblica amministrazione segnala nel nostro paese una terribile inefficienza, attribuibile in prevalenza all’inadeguatezza della dirigenza, anche politica: è lo specchio dell’arretratezza culturale del paese. Ecco che quanto risparmiato in questi ambiti, oltre a ridurre il deficit, potrebbe permettere maggiore spesa in campo educativo, culturale, ambientale, della ricerca, ecc. Nei settori cioè che potrebbero consentire maggiore competitività alla nostra economia, e dai quali si dovrebbe partire per intaccare la rincorsa perversa tra produzione, pubblicità e consumi, cioè il modello di sviluppo insostenibile. In ogni caso educarci alla sobrietà è possibile da subito anche per ciascuno di noi ed è la via privilegiata per migliorare la qualità della vita, individuale e collettiva.

Luigi de Carlini

lunedì 30 aprile 2012

Tra baracche e cemento l'autoritratto della nuova Italia

Provando a immaginare il quindicesimo censimento degli italiani come una gigantesca fotografia aerea, forse il primo colpo d'occhio, il più evidente, è che rispetto al 2002 c'è un aumento molto consistente degli edifici censiti: oggi sono 14 milioni e rotti, l'undici per cento in più in soli dieci anni. Nello stesso periodo la popolazione è cresciuta solo del 2,5 per cento: siamo 59 milioni e mezzo. Anche se le statistiche sono una lingua che chiede di essere tradotta con molta circospezione, questi due dati, incrociati, sembrano dare ragione a chi denuncia una cementificazione indiscriminata e immotivata (o motivata solo dalla speculazione) del nostro territorio. Gli edifici sono aumentati di una percentuale quattro volte più grande rispetto all'aumento degli umani. E nel paese dei mille borghi abbandonati, dei centri storici svuotati, della superfetazione delle villette a schiera che vanno a smarginaree confondere il confine tra città e campagna, i dati del nuovo censimento aiutano a capire che la gestione del territorio è una delle questioni più gravi e irrisolte.
Il secondo colpo d'occhio vede triplicati, in dieci anni, i residenti stranieri. Sono 3 milioni e 769 mila, ed è il loro arrivo (e la loro forte natalità) ad avere compensato la pigrizia demografica di noi italiani indigeni. Sono, gli immigrati, il solo vero elemento di percepibile dinamismoe di mutamento socialee culturale di un paese altrimenti "fermo" (a parte il fiume di cemento...). La famiglia Rosaria Di Guglielmo e i suoi tre bambini sono stati accolti nel campo rom di via Bonfadini, nella periferia Sud di Milano vicino all'Ortomercato Gli edifici sono aumentati in modo impressionante e così le case Sono state create aree di nuova urbanizzazione con quartieri fantasma senza servizi sta alla lettura e all'ideologia di ognuno, naturalmente, decidere se questa "contaminazione" dall'esterno sia minacciosa o promettente. Certo è un fenomeno oramai strutturale (gli stranieri erano il 2,4 per cento della popolazione totale nel 2002, oggi sono il 6,34), e così "italiano" che risulta difficile, per chi ha meno di quarant'anni, immaginare o ricordare un'Italia senza stranieri, senza asiatici, africani, slavi, arabi.
Il censimento, per altro, conferma in modo inoppugnabile che l'immigrazione è anche un termometro implacabile del benessere economico di un territorio: due stranieri su tre vivono nel Nord Italia, nelle regioni dal reddito più alto e dal tessuto economico più sviluppato. L'assenza di immigrazione è segno chiarissimo di gracilità economica. Anche questo dovrebbe insegnarci ad accogliere gli stranieri, quando bussano alla nostra porta, come una buona notizia.
Terzo colpo d'occhio: il cambiamento delle famiglie. Il loro numero è aumentato (i nuclei familiari censiti sono circa 2 milioni e mezzo in più rispetto al 2002), ma le dimensioni sono più ridotte: 2,4 il numero medio dei componenti (era 2,6 dieci anni fa). Influisce fortemente sul dato la frammentazione del concetto stesso di famiglia: le famiglie allargate sono illeggibili dalle statistiche, ma si moltiplicano con il forte aumento di separazioni e divorzi. Così che il concetto stesso di "nucleo familiare" perde progressivamente senso, e i 2,4 componenti di ogni nucleo non riflettono la densitàe la varietà dei rapporti, anche coabitativi, tra persone non più facilmente definibili come membri di questo o quel nucleo. Si pensi, per esempio, ai tanti figli di separati che sono censiti in una sola casa, ma vivono abitualmente in due case. Quarto e ultimo colpo d'occhio: sono aumentati in modo esponenziale, rispetto al censimento di dieci anni fa, i residenti in Italia che dichiarano di abitare in baracche, roulotte o tende. Da 23 mila a 71 mila. È uno dei contraccolpi più vistosi, anche se quantitativamente meno rilevanti, dell'immigrazione, dell'aumentato ingresso di nomadi e dunque di poveri, che ci rimettono di fronte a immagini anche estreme di indigenza e di disagio sociale. Un piccolo grande cortocircuito storico, che rende a noi coeve situazioni da dopoguerra, rifugi di fortuna e villaggi di lamiera che sorgono nel fango e tra le erbacce delle periferie urbane, questua diffusa, grande difficoltà di integrazione e di scolarizzazione. L'Italia è stata, per moltissimi arrivati da lontano, un approdo dignitoso e un progetto di vita. Per pochi è un parcheggio precario, una parentesi di stenti. È importante, ed è anche civile, che il quindicesimo censimento nazionale sia una fotografia così grande, e così minuziosa, da essere riuscita a inquadrare anche le baracche,i camper arruginiti, i tetti di lamiera, le vie di terra battuta dove i bambini giocano con niente, come è pratica diffusa nelle infinite lande povere del pianeta.

Michele Serra

domenica 29 aprile 2012

Il consigliere comunale del Pdl e il saluto fascista

Fallo a braccio teso...
Il saluto romano
 Lecco, 29 aprile 2012 - Alla fine il consigliere comunale del Pdl Giacomo Zamperini non ce l’ha fatta e ha ceduto alla tentazione di alzare il braccio destro e porgere il saluto romano per rendere omaggio ai sedici ufficiali e sottoufficiali della Repubblica di Salò, uccisi dai partigiani il 28 aprile del 1945, a pochi giorni dalla Liberazione. Non sono bastati i richiami alla moderazione di Forza Lecco, la neonata formazione politica che fa riferimento a Michela Vittoria Brambilla, a placare l’animo del consigliere. A nulla sono serviti i volantini, apparsi in città nei giorni scorsi, che identificavano l’esponente pidiellino come l’avversario numero uno della Resistenza per il suo categorico rifiuto a celebrare il 25 Aprile, definita «festa faziosa» e che nella sua pagina Facebook veniva ricordata come giornata di lutto nazionale.
Assente dai cortei della Liberazione, Zamperini, ha, però, pensato di non mancare alla cerimonia che ha ricordato i morti della Repubblica sociale e di onorarli con il saluto tipico del Ventennio.
Erano pochi, non più di una trentina, a commemorare la lapide al Rigamonti Ceppi. Qualche giovane, molti anziani, diversi esponenti del Pdl. La cerimonia ufficiale si è svolta senza intoppi. Nessuna contestazione, nessun corteo ha impedito allo sparuto gruppo radunatosi davanti alla targa di ricordare i caduti di Salò.
È stato Antonio Pasquini, consigliere comunale del Pdl a Lecco, a fare da cerimoniere e a pronunciare il discorso. Un discorso che è partito da una citazione di Cesare Pavese e che ha invitato i giovani presenti, il cui atteggiamento composto è stato più volte sottolineato, a guardare avanti, dimenticando odi antichi e divisioni. Tutto politicamente corretto insomma. Terminata la cerimonia ufficiale, però, il clima pian piano si è trasformato. I giornalisti non sono più stati presenza gradita e la sensazione è che gli esponenti della nuova destra fossero in attesa.
Attendevano. Attendevano che prima l’auto della polizia, poi quella dei carabinieri abbandonassero la postazione, insieme alla stampa. Lontano da occhi indiscreti la celebrazione vera, quella sentita, quella più autentica, quella nostalgica, ha avuto inizio. Lo sparuto gruppo di militanti fa cappello davanti alla lapide e all’unisono,sguardo al cielo, con atto liberatorio hanno teso il braccio nel saluto romano per ricordare «i loro eroi». Non una novità negli ambienti dell’estrema destra, ma questa volta a lasciarsi andare alla nostalgia del Ventennio è stato anche un esponente di un partito politico che, almeno nelle intenzioni, vorrebbe essere moderato.