Occorrono servizi maggiori e più flessibili per le famiglie con anziani a carico
Due famiglie su tre con a carico una persona anziana non autosufficiente, provvedono da sole a prestargli le cure di cui ha bisogno. Spesso è il figlio che assiste il genitore. Ma a volte è la moglie, con qualche anno in meno, che si prende cura del marito più avanti con l’età. L’impegno, nei casi più gravi, è talmente gravoso da essere controproducente tanto per chi offre aiuto che per chi lo riceve, al punto da generare nell’uno e nell’altro sentimenti di frustrazione e rancore. Ferite nascoste e profonde che generano aggressività. Ferite che si possono lenire solo rilanciando i legami comunitari e potenziando i servizi sociali. Questo è quanto è emerso dal convegno “Se l’amore mal-tratta” dedicato al rischio di maltrattamento psicologico nel lavoro di cura con l’anziano fragile organizzato da Caritas Ambrosiana e da Segesta. Secondo un’indagine dello Studio Gender, l’Italia spende meno della metà di quanto fanno in media gli altri paesi europei per l’assistenza agli anziani (appena l’1,3% del Prodotto interno lordo). La cura dell’anziano non più autosufficiente ricade, dunque, sulle famiglie. In due casi su tre lasciate a loro stesse. In particolare sono le donne - figlie, mogli, nuore - le indiscusse protagoniste del lavoro di cura. Sempre secondo i dati dello Studio Gender, Il 77% del lavoro familiare ricade sulle loro spalle. A Milano, ad esempio, ogni centro donne tra i 25 e i 64 anni, ci sono 85 persone da loro “dipendenti” di cui ci si deve – e si vuole - fare carico: 55 hanno meno di 18 anni (sono quindi i figli) e 30 hanno più di 75 anni (sono genitori, suoceri, il coniuge stesso). Da uno studio Eurofamcare, condotto tra il 2002 e il 2004, in sei paesi europei (Italia, Germania, Grecia, Polonia, Svezia, Regno Unito) l’assistenza familiare rappresenta, in Italia come all’estero, la più importante forma di supporto all’anziano non autosufficiente; ma in Italia, più che altrove, l’aiuto è offerto dai figli, che devono sostenere oltre agli impegni di cura verso i genitori anche quelli verso i componenti della famiglia nuova che hanno costituito. Una situazione che finisce col sottoporli a oneri troppo gravosi che possono generare casi di abuso e di maltrattamento.
La ricerca qualitativa, promossa da Caritas Ambrosiana e Segesta spa, ha indagato, attraverso interviste in profondità, ciò che accade tra figli e genitori, tra mariti e mogli, quando sopraggiunge la malattia, la disabilità psichica e mentale. «Con il termine mal-trattamento che noi non a caso scriviamo con il trattino – spiega Patrizia Taccani, una delle autrici – abbiamo voluto indicare la caduta temporanea della capacità di chi offre aiuto di instaurare una relazione buona con chi quell’aiuto lo riceve. Secondo questa chiave di lettura il mal-trattamento è spesso reciproco. Sono gli anziani e chi sta loro accanto, spesso i figli, a trattarsi male a vicenda, senza naturalmente volerlo. All’origine di questo black out relazionale ci sono senza dubbio i disturbi comportamentali dell’anziano quando costui è colpito dalla malattia (la demenza e l’Alzheimer). Ma c’è spesso proprio la fatica o lo stress derivante dal lavoro di cura stesso che anche quando si ha a che fare con anziani lucidi può provocare equivoci e fraintendimenti che generano cortocircuiti emotivi molto negativi per la relazione».
Per questa ragione, per intervenire prima che sia troppo tardi e il mal-trattamento diventi abuso, bisognerebbe alleviare il lavoro di cura non solo potenziando i servizi sociali esistenti, ma anche offrendo interventi integrativi flessibili che consentano al caregiver (colui che presta la cura) di concedersi qualche pausa. La gamma delle soluzioni possibili, indicate dalla ricerca, sono varie. Dal potenziamento dei centri diurni alla creazione di strutture residenziali temporanee a cui affidare gli anziani per periodi brevi. Dall’apertura di sportelli di counseling psicologico per familiari e anziani alla promozione di gruppi di auto-mutuo aiuto fra caregiver. Insomma un nuovo modello di assistenza in cui pubblico privato possono integrarsi e il volontariato è chiamato a giocare un ruolo fondamentale.
«A causa della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione, nel giro di pochi anni figli (spesso unici) dovranno farsi carico di genitori anziani. Inoltre dovranno conciliare questi oneri di cura con il lavoro. Fatto tutt’altro che pacifico dal momento che anche le donne alle quali fino ad oggi si sono demandate queste incombenze, hanno un impiego che le tiene fuori casa – osserva il direttore della Caritas Ambrosiana don Roberto Davanzo -. Se continuiamo a ritenere che l’istituzionalizzazione deve esser l’ultima spiaggia, dobbiamo anche porci il problema della sostenibilità della domiciliarità delle cure. Una questione cui oggi hanno messo una pezza le tante assistenti familiari straniere, le cosiddette badanti, ma che non possiamo considerare la sola soluzione per un problema così epocale».