Ho seguito il dibattito relativo alle azioni di protesta dei sindaci ed allo smarcamento dei primi cittadini leghisti; per leggere esattamente le ragioni dell’abbandono del campo da parte della Lega é opportuno capire cosa è successo in questi anni e soprattutto fare chiarezza circa lo stato delle cose e le prospettive future.
Il quadro generale entro il quale ci troviamo risente fortemente dell’azione di progressivo smantellamento del concetto di bene comune e di servizio pubblico che, tramite l’azione del governo, dei media e della cultura prevalente, è stato soppiantato dall’idea di rapporto tra venditore e consumatore.
Nella tradizione italiana i Comuni sono sempre stati il centro ed il riferimento diretto dei cittadini per quanto attiene i servizi pubblici, i servizi sociali, i diritti connessi alla persona; gli italiani hanno sempre considerato, non per caso, gli amministratori locali in maniera ben diversa rispetto alla “casta”.
Il ritardo nel costruire una risposta non conservatrice al poderoso attacco della Lega e della destra al sistema solidale, ha consentito alle forze più brutalmente liberiste di distruggere progressivamente il ruolo degli enti locali per sostituirlo con una visione di “federalismo” che è in realtà l’idea di un nuovo centralismo su base regionale.
Dalla vittoria della destra e del leghismo nel 2001 abbiamo assistito ad un arretramento della spinta al decentramento che timidamente era stata avviata nella stagione dell’Ulivo, i Comuni sono stati privati progressivamente delle risorse proprie e sono tornati ad essere dipendenti in maniera quasi totale dalla finanza trasferita da Stato e Regione, oppure da contributi elargiti in maniera discrezionale dall’onorevole di turno.
La malagestione di alcune società pubbliche, gli sprechi nella pubblica amministrazione che hanno caratterizzato alcune realtà, sono diventati il pretesto per imporre il modello della privatizzazione dei servizi; le giuste richieste di efficienza avanzate dai cittadini sono stata strumentalizzate per attaccare indiscriminatamente tutto ciò che è pubblico.
Il Patto di Stabilità imposto agli enti locali ha previsto tagli indiscriminati eseguiti percentualmente, senza indicare i livelli di servizi da garantire ai cittadini, i limiti di spesa per i servizi, le dotazioni ottimali di personale; la mancanza di coraggio nell’indicare esplicitamente i casi di cattiva amministrazione hanno prodotti tagli generalizzati che finiscono col penalizzare proprio i Comuni più virtuosi.
Il Governo in carica ha aggiunto a questa situazione l’imposizione della privatizzazione forzata dei servizi pubblici e dei beni comuni, a partire dal servizio idrico.
Lo scorso mese di maggio i cittadini italiani, scuotendo fortemente il quadro politico, hanno votato con una maggioranza schiacciante l’abrogazione dell’articolo 23/bis, dichiarando senza ombra di dubbio la loro contrarietà alla cessione ai privati dei servizi e dei beni comuni; rimettendo così i Comuni al centro della gestione dei servizi.
Approfittando della drammatica situazione economica internazionale che ha imposto manovre drastiche di rientro del debito pubblico, il Governo di centrodestra ha inserito vincoli economici che impongono ai Comuni la cessione delle società pubbliche, negando di fatto ai cittadini il rispetto del voto referendario.
Appare evidente che nell’ambito della costruzione di un programma di rilancio del Paese debbano essere ripresi e riproposti alcuni temi che sono costitutivi della storia della democrazia italiana, a partire dalla centralità delle comunità locali che sono il nucleo fondativo dell’Italia e della sua cultura amministrativa, senza bisogno di scomodare Alexis de Tocqueville che le faceva discendere addirittura dalla volontà divina.
Per fermare la progressiva distruzione della grande tradizione amministrativa locale, occorre un progetto che riduca fortemente gli sprechi ma mantenga le forme della rappresentanza e della democrazia, serve la definizione di un disegno di articolazione delle Istituzioni che indichi per ogni livello ruoli, funzioni, costi ottimali, dotazioni e risorse certe, ovviamente dirette e non trasferite.
Solo così - dimostrando che si riducono i privilegi ma si mantengono le rappresentanze dei cittadini e le funzioni degli organismi territoriali di prossimità e tutelando i livelli amministrativi che i cittadini percepiscono come rappresentanza e non come “casta” - sarà possibile superare il clima di odio nei confronti della politica, ormai considerata nemica, che sta scuotendo le fondamenta del sistema democratico.
Lo stesso principio dovrà essere la base del ragionamento per la ridefinizione del ruolo degli enti pubblici nelle società che gestiscono i servizi, anche in questo caso l’imposizione di costi certi, di qualità dei servizi da erogare, di eliminazione delle sacche di privilegio e di clientelismo, sono il solo strumento per evitare la privatizzazione.
Occorre una normativa specifica su questo tema, un insieme di norme che unisca la gestione pubblica all’efficienza, molte realtà esistenti in Italia dimostrano che è possibile, sbugiardando il pensiero corrente del privato è bello.
La partita per il futuro si gioca tra due diverse impostazioni, quella del centralismo, statale o regionale poco cambia, contro quella del decentramento; su questo i sindaci sono chiamati a dare battaglia.
Marco Molgora
Ex Sindaco di Osnago