In questo ultimo anno di grandi difficoltà per l’economia i Comuni Italiani hanno saputo ricoprire con senso responsabilità, e ottenendo buoni risultati, il loro ruolo naturale: quello di baluardo contro la crisi. Infatti da una parte hanno garantito servizi indispensabili ai cittadini, soprattutto a quelli appartenenti alle classi più in difficoltà, e investendo 13,5 miliardi di euro in progetti rappresentano un investitore sicuro, in grado di mettere in moto il motore dell’economia facendo lavorare il settore privato e attivando un indotto di importanti dimensioni, vitale per la sopravvivenza di molte piccole e medie imprese. Eppure quando si parla di amministrazioni locali parte regolarmente il ritornello sugli sprechi del settore pubblico, i costi della politica e i tagli che ogni anno è necessario fare.
Allora lasciatemi dire: è vero, il settore pubblico spreca: ma “settore pubblico” non vuole dire “Comuni”, e certamente non è dai Comuni italiani che vanno estirpati gli sprechi maggiori: allora perché ogni anno si ripetono i tagli ai bilanci comunali, e le amministrazioni non vengono più messe nelle condizioni di garantire servizi di qualità ai cittadini e lavoro alle imprese del territorio?
I servizi garantiti ogni giorno dai Comuni sono sotto gli occhi di tutti, ma non per questo vanno dimenticati o ignorati. Per fare solo qualche esempio:
- Si stima che nel 2008 abbiano operato sul territorio nazionale oltre 3.450 asili nido comunali, che ogni mattina hanno accolto complessivamente quasi 170.000 bambini.
- Nelle città italiane, tutte le notti vengono raccolte e smaltite 102mila tonnellate di rifiuti urbani: l’equivalente di una superpetroliera.
- Ogni giorno, in tutta Italia, vengono assistiti 215.000 anziani (pari all’1,8% della popolazione con oltre 65 anni di età) che ricevono a domicilio pasti, assistenza sanitaria e amministrativa.
- Complessivamente, ogni giorno viaggiano sui mezzi pubblici delle aziende municipali dei trasporti oltre 38 milioni e mezzo di passeggeri.
- Le biblioteche comunali aperte al pubblico sul territorio nazionale sono 6.492. Si stima che complessivamente ogni giorno il sistema bibliotecario comunale, fornisca più di 880.000 prestiti, oltre a tutti i servizi di accesso a mediateche, a internet, ecc.
- Nei Comuni italiani sono operativi (nel senso che hanno emesso almeno un provvedimento) 3.297 Sportelli Unici per le Attività Produttive che quotidianamente erogano servizi fondamentali per le piccole e medie imprese.
- I comuni provvedono all’assistenza quotidiana di 7000 minori non accompagnati. Ed i soli 321 comuni monitorati da ANCI in materia, nel 2008 hanno sostenuto una spesa di oltre 170 milioni di euro che si vanno a sommare ai 400 milioni impegnati per l’accoglienza di minori in difficoltà o in stato di abbandono non appartenenti alla categoria dei minori non accompagnati.
- Per garantire l’ordine pubblico durante la partite di calcio di Serie A i Comuni pagano più di 40 milioni di euro l’anno.
- Il costo dei libri di testo per le scuole elementari e’ sostenuto quasi interamente dai Comuni. Si tratta di 29 euro ad alunno che corrispondono complessivamente – fonte Miur - a oltre 74 milioni di euro l’anno.
- Per il finanziamento dei pasti degli insegnanti e del personale ATA nelle mense comunali, quindi per personale dipendente dallo Stato, viene rimborsato ai Comuni, con ritardi anche di un paio di anni, una cifra pari a 62 milioni di euro- per circa 119.000 dipendenti – che divisa per 200 giorni di fruizione della mensa, determina un rimborso inferiore ai 3 euro a pasto. I Comuni mediamente invece spendono circa 6 euro a pasto. La differenza, più del doppio di quanto rimborsato, è interamente sostenuta dai Comuni.
Al tempo stesso, i Comuni italiani sono in prima linea sul fronte dell’abbattimento del debito pubblico. Mentre nel 2008 i Comuni hanno contribuito a risanare i conti dello Stato per 1 miliardo e 200 milioni, la pubblica amministrazione nel suo complesso ha fatto registrare un peggioramento di 20 miliardi di euro. Questo significa che i Comuni non sono una fonte di spreco ma una realtà virtuosa. Al tempo stesso però deve essere chiaro a tutti che ai Comuni non si possono addossare i conti altrui. Noi da anni applichiamo i criteri di una sana gestione, anche dal punto di vista economico. Si intervenga allora laddove è necessario. Procedere con ulteriori 1030 milioni di tagli ai Comuni, come previsto per il 2010 secondo i parametri del patto di stabilità, significa solo produrre effetti devastanti in un quadro complessivo che è già andato oltre il limite della sopportabilità.
Ma dove sono gli sprechi del settore pubblico? Confrontiamo alcuni dati: in media, nei Comuni capoluogo c’è un dirigente ogni 52 lavoratori; al Ministero dell’Economia il rapporto è di 1 dirigente ogni 22 dipendenti, al Ministero dell’Ambiente si sale a 1 dirigente ogni 13 dipendenti, allo Sviluppo Economico 1 ogni 11, mentre alla Presidenza del Consiglio si raggiunge il dato di 1 dirigente ogni 7 dipendenti. La retribuzione media nel comparto Enti Locali è pari a 29.000 euro, mentre alla Presidenza del Consiglio questo valore è pari a 45.000 euro. Inoltre, i dipendenti dei Comuni rappresentano il 12% del totale dei dipendenti pubblici e la loro retribuzione ‘pesa’ per l’11% sul totale. In Lombardia la spesa per personale dei Comuni è più bassa che nelle altre regioni. Se bisogna tagliare, i Comuni dovrebbero essere l’ultimo anello della catena. E invece il risparmio dei Comuni è stato incamerato dalle Amministrazioni centrali senza trasferirlo come valore ai cittadini. Ai Comuni è stata anche tolta l’ICI e non c’è stato ancora il promesso rimborso integrale da parte dello Stato.
Per il 2010 si ripresentano tutte le difficoltà riscontrate nel 2009. Ma una soprattutto riguarda la possibile attività dei Comuni quale volano per l’economia, un’attività che viene frustrata da un Patto di stabilità che limita le spese degli Enti locali anche in presenza di fondi da impiegare per investimenti. I Comuni risparmiano, avrebbero già nelle loro casse i soldi per migliorare il territorio, facendo lavorare imprese e limitando la disoccupazione, ma non possono farlo per via dei vincoli imposti dal patto di stabilità. Anzi, per soddisfare il Governo i Comuni saranno costretti nel triennio 2009-2011 a ridurre la spesa totale del 10%, pari a circa 6 miliardi di euro. Questo vuol dire che verranno ridotti di circa il 30% gli investimenti e che alle aziende italiane verranno tolti 6 miliardi di euro (senza considerare l’indotto complessivo). Inoltre le regole attuali bloccano di fatto i pagamenti che i Comuni devono alle imprese per lavori e servizi già resi e per cui hanno già messo da parte le risorse.
Negli anni scorsi abbiamo avanzato la proposta di costruire un patto di stabilità a livello regionale che potesse meglio aderire alla specificità dei Comuni di un determinato territorio. Oggi, sia con la L. 133/08 sia con il disegno sul federalismo fiscale, questo è possibile. E’ possibile cioè adattare criteri e modalità del patto a livello regionale attraverso un necessario consenso del mondo delle Autonomie Locali. E’ una sfida per le stesse ANCI regionali che vogliano sperimentare questo percorso. In alcune regioni si è aperta la strada con la sottoscrizione di patti tra Regione, ANCI regionali e Provincie per l’attribuzione ai Comuni di plafond di spesa. E’ solo un primo passo, il nostro impegno è proseguire su questa strada per arrivare a definire regole appropriate per le diverse situazioni perché un’unica norma nazionale ormai non regge più. Nella discussione sul federalismo fiscale noi chiediamo che ai Comuni venga riconosciuta autonomia impositiva, che non si torni ad una finanza derivata che deriva risorse dai trasferimenti statali, che ai Comuni vada una imposta che razionalizzi quelle che oggi gravano sulla casa e una compartecipazione all’Irpef e all’IVA.
La discussione sul federalismo istituzionale e la Carta delle Autonomie è importante per definire compiti e funzioni dei diversi livelli di governo superando la sovrapposizione di compiti che ingenera confusione e aumento di costi. Chiediamo anche di ridefinire le funzioni fondamentali dei Comuni comprendendo la gestione del catasto e rivedendo le norme previste in materia di controlli che rischiano di far compiere passi indietro ai Comuni.
Una politica economica anticiclica deve dare fiato alle amministrazioni locali, una politica che vuole il Federalismo deve garantire ai Comuni risorse stabili per mantenere i soldi delle tasse sul territorio, sotto forma di servizi e investimenti. Occorre insomma ridare fiato ai Comuni che sono il primo motore dello sviluppo dei territori, i protagonisti di politiche di sostegno alle persone e alle famiglie in difficoltà, di promozione turistica e culturale. Per questo chiediamo con forza che venga modificato il patto di stabilità sia nelle regole assurde che bloccano di fatto i pagamenti sia nella individuazione dell’obiettivo che i Comuni devono rispettare per partecipare al risanamento della finanza pubblica oggi troppo alto al punto da mettere in discussione la possibilità di continuare a garantire qualità e quantità dei servizi per i cittadini e le imprese.
I presidenti delle Anci regionali
Attilio Fontana – Lombardia, Giorgio Dal Negro - Veneto,
Amalia Neirotti – Piemonte, Alessandro Cosimi - Toscana
Fernanda Cecchini - Umbria, Michele Lamacchia – Puglia
e Salvatore Perugini – Calabria
da Bilanci.net