sabato 7 maggio 2011

Prima persone: io li ospito

Sembra che sfugga sempre l’aspetto primario quando si parla di migranti ed anche in questi giorni che tiene banco, sulla stampa ed in tv, l’”invasione” di 30 di essi nella solidale terra lecchese. Terra ricca di associazionismo, di opere caritative, di fraterno cristianesimo e rivendicato comunismo terzomondista ma immune dall’elaborare. Sfugge, almeno sembra, che migranti, richiedenti asilo, sui barconi o sulla terra ferma di Lampedusa o Lecco che dir si voglia, sono Prima Persone. E se l’Europa è una fortezza, e per molti una prigione, l’Italia può, se ce lo dimentichiamo in troppi, essere peggio di un incubo: può essere un brutto risveglio. La frontiera non è più un luogo: è una colpa, una condanna, qualcosa che chi ha avuto la sfortuna di incontrare non si toglierà mai più di dosso. Il 6 maggio  nel massimario minimo a pag. 47 de La Provincia di Lecco, c’è una frase illuminante di Papa Giovanni XXIII “Il superfluo si misura dal bisogno degli altri”. E’ emblematico, mi sia permesso, che si trovi nella stessa edizione che riporta, come se fosse una condanna, che i profughi, o meglio i richiedenti asilo, ci costano 1200 euro al giorno. Che tra l’altro fanno 40 euro a testa. Una cifra che evidentemente la solidale terra lecchese, ricca di associazionismo, di opere caritative, di fraterno cristianesimo e rivendicato comunismo terzomondista è impossibilitata, nella pratica, a sostenere. Bisogna tenere a distanza gli indesiderabili. Non è più Pasqua e non è ancora Natale. Uno sguardo che non guarda. La cronaca esibisce il suo catalogo di ecatombi, le tecnologie della comunicazione ce le mettono a disposizione, in versione da telegiornale, il più delle volte da dibattito pre-elettorale che è la politica perenne di casa nostra, ma c’è una costante, un elemento comune a tutti quei massacri ed è che si tengono sempre ad una certa distanza dalla mia, e dalla nostra, tavola. Sono fatti che accadono da qualche parte che a buon diritto possiamo chiamare “altrove”. Magari alle porte di casa, come le guerre nell’ex Jugoslavia, nei Balcani o, appunto, nell’Africa mediterranea, ma insomma non proprio “qui”. “Qui” è una parola ambigua, difficile da definire se ci mettiamo d’impegno. Un incidente finanziario a Wall Street, per i suoi effetti, ha molte più probabilità di rappresentare qualcosa che accade !qui!, nella mia, nella nostra vita, di quanta ne abbia ciò che avviene in campo della protezione civile a 2 km da casa mia che ospita richiedenti asilo, o in una coda vergognosa e umiliante davanti agli uffici della Questura cittadina. O a un miglio dalla spiaggia delle mie, nostre vacanze. E quindi totalmente indifferenti, mera questione di sostenibilità economica, di panico per 40 euro al giorno che la solidale terra lecchese, ricca di associazionismo, di opere caritative, di fraterno cristianesimo e rivendicato comunismo terzomondista è impossibilitata, nella pratica, a sostenere. Ed allora è necessario, direttamente, collettivamente, immediatamente, assumersi la propria parte di Opera – la Torah dice infatti che non ti è imposto di completare l’opera ma non sei libero di sottrarti – e sollecitare, nel concreto, la solidale terra lecchese, ricca di associazionismo, di opere caritative, di fraterno cristianesimo e rivendicato comunismo terzomondista a mettere a disposizione, per latri richiedenti asilo, le proprie sedi, le proprie case, i propri risparmi, per ospitare, con il ordinamento dei Comuni, delle Autorità le persone che fuggono da guerre e da carnefici, che affrontano la nostra frontiera, che se la sentono addosso.
“Io li ospito…” è dare ognuno, famiglia e realtà organizzata, la propria disponibilità all’accoglienza e/o al sostengono economico. Io li ospito e tu?
Restiamo umani

Barbara e Paolo

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