domenica 1 maggio 2011

Costituzione sotto pressione

Individualismo e benessere hanno appannato i valori ideali da cui è nata la Costituzione

Operazione di retroguardia? L’affaccendarsi confuso attorno alle riforme costituzionali, il succedersi di tentativi di modifiche, benché per lo più falliti, hanno dato corpo al mito di una Costituzione da riscrivere, perché inadatta a reggere l’età della globalizzazione, di Internet, ecc. Si versa pertanto in un continuo, strascicato, momento costituente, con ineluttabile, conseguente, banalizzazione della Costituzione. Vero è che nell’estate del 2006 un progetto di revisione integrale della seconda parte della Costituzione è stato bocciato dal corpo elettorale, ma, di fronte al continuo parlare di riforme e a una vena demistificatoria e revisionista che gioca a indebolire le residue fondamenta di senso (o «miti fondativi») — Resistenza, antifascismo, Costituzione — di una Repubblica sempre più liquida e sbriciolata, «tenere alta» la tensione risulta difficile. La difesa della Costituzione, nel tempo in cui il «riformismo» assurge a valore, è screditata come operazione di retroguardia.
Imbrigliare il potere. Quando il ritmo delle riforme tentate segue quello dell’alternarsi dei Governi, forte è il sospetto che si tratti di operazioni di potere alla cui logica congiunturale tutto, anche la Costituzione, si vorrebbe piegare. Ma la Costituzione è strumento creato per imbrigliare e orientare il potere. La difesa della Costituzione deve dunque essere responsabilità assunta in proprio dalla cultura e dalla società civile; affidarla al potere significa mettere la proverbiale faina a guardia del pollaio. Un errore altrettanto grave sarebbe quello di ritenere acquisite le conquiste che essa ha suggellato. Nessun principio, nemmeno quello che ci appare più elementare e scontato, sopravvive a lungo se non è incarnato e continuamente vivificato dalla testimonianza, più ancora che dalle parole, degli uomini di ogni tempo.
Angustia etica. E tuttavia il dibattito sociale e politico nel nostro Paese appare fortemente schiacciato sulla congiuntura e dunque inadeguato a sostenere il «respiro» dei valori costituzionali. Sicuramente lo è il sistema partitico il cui orizzonte, abbandonata la dimensione del progetto o dell’ideologia, è ristretto a quello della legislatura; ma lo sono anche i cittadini quando reagiscono visceralmente ai temi della politica e vi si collocano nella posizione, tipica del consumatore di beni voluttuari, dell’«io-qui-adesso». Questa angustia etica non si addice al cittadino della democrazia, per il quale è essenziale sentirsi parte di un «noi», e ancor meno al cittadino di una democrazia costituzionale, che è chiamato a sentirsi parte di una «storia» di quel «noi», a riconoscersi debitore di un «passato», a cui si deve, non solo idealmente, la libertà, e responsabile di un «futuro», a cui si deve garantire possibilità di vita degna.
Beni che dividono. Questo smarrimento di senso rischia perfino di ingenerare l’impressione rassegnata di essere di fronte a una decadenza, per così dire, «biologica» di civiltà. Certo è che questo tempo appare, per il diritto e ancor più per il diritto costituzionale, particolarmente difficile. Non solo perché il diritto è stato costruito, soprattutto a partire dal positivismo sette-ottocentesco, più sullo Stato — la cui forza appare declinante — che sulla società, ma anche per ragioni di tipo culturale. Non intendo su questi fattori dilungarmi, essendo processi largamente esplorati e noti. Voglio solo richiamare il diffuso individualismo, frutto forse del primato, nel sistema dei valori sociali, dell’economico, che rende l’accumulazione di ricchezza e di notorietà i misuratori infallibili della realizzazione individuale. Ricchezza e fama sono per natura beni che dividono, solleticano invidia ed egoismo sociale. Il tessuto di una comunità si lacera quando questi sentimenti dilagano. E certamente il diritto soffre perché la società è diventata più disgregata, avendo perso i collanti naturali. Anche quell’omogeneità veicolata in passato da fattori di carattere etnico, di nazionalità e lingua, ha ceduto il passo a una mescolanza, ricca e complessa, di popoli e culture. In questo contesto, trovare regole condivise appare operazione ardua, e tuttavia sempre necessaria, ed il diritto propone il suo volto meno amato, quello dell’imposizione, del potere.

Filippo Pizzolato
(professore di Diritto pubblico
nell’Università di Milano-Bicocca)

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