sabato 8 gennaio 2011

Terra di nessuno

Merate, venerdì sera ore 22.30, centro deserto. Sembra una località di mare in inverno. Giro l’angolo e in lontananza sgorgo un gruppetto di persone rischiarate da un fascio di luce che irrompe da una vetrina illuminata. Sento vociare e più mi avvicino più il vociare aumenta, il bisbiglio ad ogni passo si trasforma fino ad espoledere in una ridda di chicchere. Sono giovani che affollano il marciapiedi fuori dall’unico bar aperto della piazza. Figli di famiglia bene, di famiglia in mi sembra, vestiti bene, alla moda da capo a piedi, ma anche lavoratori, perché qualcuno lo conosco e conosco i genitori. In mano hanno ampi calici da vino in vetro, pieni a metà. Annusano l’aroma e sorseggiano centellinando ma tanto potrebbero bene acqua sporca che non capirebbero. Lo si vede da come accentuano i movimenti, da come deglutiscono, si atteggiano a sommelier ma a tavola bevono cola. Ci sono anche bottiglie di birra adagiate a terra insieme a bicchieri di plastica. Uno tiene al guinzaglio un cane di grossa taglia che fa tanto trandy. La bestiola con lo sguardo invoca pietà: vorrebbe stare altrove al caldo non sotto la pioggia fine fine e fredda che ogni goccia sembra uno spillo. Si accuccia sulle zampe posteriori e lascia un ricordo in mezzo al passaggio. Il proprietario non lo raccoglie. Ovvio, non può sporcarsi le mani. Nessuno gli dice niente. Ovvio, le strade sono loro sussurro passando, sei tu l'animale non lui e anche i tuoi amici... Tutto attorno si respira aria di silenzio coi lampioni arancioni, gli scuri alle finestre chiusi e i guizzi delle televisioni che filtrano dalle tende tirate. Ma il ciarlare degli avventori del locale stona con l'atmosfera sommessa da paesone operoso della brianza dove la gente vive di giorno e la sera riposa. Rimbomba in ogni luogo e l’eco si ingigantisce ad ogni rimbalzo sui muri, come una valanga di decibel. E’ fastidioso, molto fastidioso, assordante. Il numero di ragazzi intanto sale. Alcuni entrano, molti stazionano all’esterno e le parole si sommano alle parole, diventano rumore, confusione, frastuono, come quello delle pallonate contro le pareti del cortile dell'oratorio quando ero piccolo o le urla nella palestra della scuola... Poveretto chi abita qui, penso, come fanno? Se almeno poi posteggiassero a due passi, dove c’è parcheggio da vendere e il rombo dei motori dei macchoni tirati a lucido come i loro abiti darebbe meno fastidio ma tutti vogliono un posto in prima fila. Se potessero lascerebbero le loro coupè che io non potrei permettermi in un'esistenza di fatica o i suv di babbo fin sotto il bancone. Ma non possono e allora invadono le aree riservate, quelle dei disabili, quelle dei motorini, la mezzaluna davanti al municipio. I cartelli di divieto e quelli di senso unico è come se non li vedessero perché per loro non esistono. Mi guardo attorno per scorgere il lampeggiare blu di qualche pattuglia di vigili urbani. E’ inutile. Gli agenti di polizia locale come si chiamano adesso non ce ne sono. Strano, mi dico, avevano assicurato che organizzavano i pattugliamenti serali… Sorrido: vuoi vedere che sono in giro per qualche negozio a controllare i cartellini dei saldi o a cercare qualche straniero? Loro, gli stranieri, non votano e qualche commerciante un piccola tirata d’orecchie se la merita, così imparano a non alzare troppo la cresta e a non protestare...

Mirko

1 commento:

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