venerdì 21 maggio 2010

Questi giovani disimpegnati o impegnati altrove

Prendiamo questi piccoli paesi della Brianza: quanti giovani amano il loro paese, e si interessano dei problemi esistenziali locali, come ad esempio del mondo del lavoro, della scuola, dell’ambiente, della salute? Lavorare sul posto è duro. È l’ora di tornare a impegnarsi sul posto, sul locale, su problematiche esistenziali che ci toccano da vicino.

La polemica sulle Feste della Birra o sulla birra come mezzo per raggiungere un certo fine (
clicca sul testo evidenziato per leggere della vicenda) anche umanitario, come ad esempio raccogliere fondi per una iniziativa di carattere sociale o umanitario, può lasciare il tempo che trova, ma può anche essere un’altra opportunità per verificare il senso critico dei nostri ragazzi e di una certa categoria di adulti che purtroppo si rivela ben maggiore di quanto possa sembrare. Non riesco proprio a capire perché questi ragazzi non si accorgano di certe contraddizioni in cui cadono. Forse per colpa di una mancata formazione ai valori, che da lungo tempo ormai si sta protraendo, ma forse perché a loro piace rimanere adagiati così, oscillando tra un fare e un non fare: tra un fare “occasione” o “d’evasione” e un non fare di una noia snervante per non dire mortale. È chiaro che tra i due è meglio un fare occasionale o d’evasione, ma c’è qualcosa che non funziona lo stesso. Non si può far finta di nulla, oppure accontentarsi da parte di noi adulti di una specie di carità evasiva come se in fondo questo impegno altruistico rappresentasse la speranza dei giovani del domani. Quale domani? Sia ben chiaro: ogni tipo di volontariato è ammirevole, ma pone nello stesso tempo tanti punti interrogativi.
Anzitutto, il nostro agire - mi pare che lo dicesse un certo don Lorenzo Milani - deve essere “politico” o, senza urtare, diciamo che deve incidere sulla società fino a stimolare chi di dovere a cambiare rotta se fosse necessario per orientarsi verso la vera Politica, che è il Bene comune da realizzare a partire dal proprio ambiente esistenziale. Ci vogliono anche gesti “rivoluzionari”, tali da suscitare domande, provocazioni, prese di coscienza civile. Lo Stato o la società civile non devono approfittarsi del volontariato per disimpegnarsi socialmente. Abbiamo ancora una concezione della politica che è falsa: la politica delle tasse, dei tagli, delle strade, dei ponti, di leggi che pensano solo alla sicurezza ecc. Tutto il resto, quello che conta, va delegato. A chi?
La Politica non c’è: quella con la P maiuscola. E non c’è perché è venuta meno la coscienza civile. Colpa soprattutto del popolo! Non si può pretendere che la Politica la facciano i nostri politicanti: il loro gran darsi da fare non è altro che un mestiere della peggiore specie. Ma sono convinto che spetti ai giovani farsi valere, stimolando le strutture perché mettano bene in vista il Bene Comune. Ma i giovani sono le prime vittime del Potere, il quale o li addormenta, li droga, li aliena, o se ne serve per riempire gli spazi sociali ma senza però permettere che loro disturbino l’ordine costituito sull’anti-Politica. Ben venga anche il volontariato, ma deve agire da supplenza in attesa che lo Stato si svegli e faccia il proprio dovere, che è il Bene Comune, il quale, per definizione stessa, riguarda la persona del cittadino. E la persona è “socialità”, interrelazione.
Quando penso a ieri (anche se sono passati più di quarant’anni) rivedo l’andare in Africa come una fuga dalla realtà sociale del proprio ambiente esistenziale, e nello stesso tempo rivedo anche una forte corale ribellione alla politica disastrosa di quei tempi: la società improvvisamente si è vista sull’orlo di un tracollo. I giovani, spinti anche da contestazioni d’oltr’Alpe, si sono sentiti finalmente protagonisti. Si sono ribellati. Bene o male, senza magari idee chiare, senza magari un progetto di Politica in mente. Ma hanno tentato, rischiato, si sono messi in causa. Hanno lottato. Ci credevano. Forse troppo. E poi? Il Potere di nuovo si è ripreso tutto, ed è rimasta la fuga in... Africa, Se non altro, là per qualcuno il sogno di far qualcosa poteva continuare.
Mi ricordo che anche noi preti ambrosiani in quegli anni di contestazione in cui la Chiesa non voleva mettersi in discussione, eravamo presi dalla tentazione di fuggire dall’Italia, per servire meglio il Vangelo radicale in terre di missione. E mi ricordo ciò che ci diceva l’allora cardinal Giovanni Colombo: “La vostra Africa è qui. Troppo comodo fuggire! Rimanete sul posto di combattimento”. Non aveva tutti i torti. Sì… finite le contestazioni ed evaporato il sogno di ribaltare la società, è tornato di moda impegnarsi altrove. Riunirsi in gruppi di volontariato, fuori. Fuori dal proprio ambiente. Non penso che la pensasse così neppure don Lorenzo Milani, che si è dedicato anima e corpo per i suoi pochi ragazzi, in una frazione sperduta tra i monti. Per lui, a trecento metri dalla propria comunità, il mondo non esisteva. Oggi mi chiedo che cosa sia rimasto di quello spirito rivoluzionario che anni fa aveva animato i giovani per dare qualche scossone alla società. Ben poco. In compenso è fiorito il volontariato. Ma della politica non ne vuole sapere nessuno, tanto meno i giovani che, con la scusa che tutto il sistema è marcio, lo lasciano intatto, per evadere altrove.
Prendiamo questi piccoli paesi della Brianza. Sono qui, perciò vedo, e constato. Non parlo a vanvera, o tanto meno per criticare. E non vorrei sembrare il solito pessimista che vede tutto nero. Chissà poi per quale motivo! Quanti giovani amano il loro paese, e si interessano dei problemi esistenziali locali, come ad esempio del mondo del lavoro, della scuola, dell’ambiente, della salute ecc. Quanti? Lavorare sul posto è duro, e chi non lo sa. È più “consolatorio”, anche se faticoso, darsi da fare, altrove. È l’ora di tornare a impegnarsi sul posto, sul locale, su problematiche esistenziali che ci toccano da vicino. Smettiamola di fuggire, di evadere, di sognare terre lontane. Cambiando qui la politica, potremo anche cambiare lo sfruttamento che avviene tra le popolazioni povere. Lottando per l’acqua pubblica, potremo aiutare anche gli africani a tenersi la loro, senza che noi occidentali gliela rubiamo per quella legge di mercato che i giovani respirano, e magari sostengono con una vita che oscilla tra il darsi da fare per qualche vaga causa umanitaria e un vegetare annoiato per non dire… mortale.

don Giorgio De Capitani
da donGiorgio.it

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