martedì 12 gennaio 2010

L'asfalto "mangiasmog" non serve a nulla, aumenta anzi i pericoli per gli automobilisti

L'assessore all'Ecologia e vicesindaco MAssimiliano Vivenzio ha annunciato che per abbattere l'inquinamento intende ricorrere all'asfalto "mangiasmog". Anche la nostra Amministrazione comunale nel 2005 fu contattata dalla società "Renova", partecipata della "Italcementi", per una sperimentazione del particolare asfalto, contestualmente a lavori di ripristino dell'asfaltatura su porzioni della Sp 342 dir, la ex Ss 36, in località Ceppo, vicino alla centralina di monitoraggio della qualità dell'aria dell'Arpa, Agenzia regionale protezione ambientale. La proposta consisteva nell'apporre uno strato di "vernice mangiasmog" su altri substrati, oltre al normale conglomerato bituminoso, per una superficie di 10.000 mq. Il sovracosto rispetto alla normale asfaltatura sarebbe stato di 300.000 euro. Dopo attente valutazioni abbiamo deciso di non dare seguito all'iniziativa, sia per il prezzo considerevole, sia per le incognite riguardo ai supposti benefici.
Il principio su cui si basa l'azione di tale strato è quello della cosiddetta fotolisi catalitica, e non enzimatica come è stato riportato da alcuni organi di informazione locale: in parole povere nello strato sono inglobate particelle di biossido di titanio (TiO2) con funzione di catalizzatore, cioè di agente che, in concomitanza alla presenza di luce, specialmente la componente ultravioletta,e di ossigeno, accelera la trasformazione chimica ossidativa degli inquinanti. L'ossido di carbonio (CO) verrebbe trasformato in anidride carbonica (CO2) non strettamente inquinante, anche se gas serra. Il biossido d'azoto (NO2), in presenza di acqua e metalli diventerebbe nitrati solubilizzati dalle precipitazioni atmosferiche. Riguardo alle polveri sottili (PM 10 e 2,5) non vi sono invece precisi risultati della ricerca riguardo agli effetti della fotocatalisi data la loro complicata struttura chimico-fisica, in parte di natura inorganica (silicati) ed in parte organica (macromolecolecarboniose ed idrocarburiche) che rende difficile la loro ossidazione a composti elementari (acqua, anidride carbonica, nitrati, silicati, ecc). Trattandosi inoltre di particelle solide e non di molecole gassose la loro mobilità è minore, quindi il loro contatto con il catalizzatore meno probabile. E' fondamentale infatti il contatto fra le molecole dell'inquinante e quelle del biossido di titanio e ciò è un principio generale della catalisi. Basti pensare al funzionamento delle marmitte catalitiche poste nei tubi di scappamento degli autoveicoli dove il "trucco" è quello di forzare i gas di scarico su una enorme superficie catalitica specifica (centinaia di mq per grammo di catalizzatore per cui, immaginando qualche chilo di catalizzatore in una marmitta, i gas scaricati, alla portata di qualche decina di mc/h, si scontrano, in moto turbolento, con centinaia di migliaia di mq di superficie attiva). Per consentire tanta superficie specifica la struttura del catalizzatore è simile a quella delle spugne o, se si vuole, dei polmoni, laddove è necessario mettere a disposizione del gas una grande superficie di scambio ossigeno/anidride carbonica. I canalicoli del catalizzatore, attraverso cui passano i gas di scarico, hanno diametri medi dell'ordine del miliardesimo di metro.
Riguardo al nostro caso tale contatto è molto blando non essendo forzato ed è determinato solo dai moti convettivi dell'aria che lambisce l'asfalto e da quelli turbolenti causati dal vento e dal moto dei veicoli. Inoltre la struttura dello strato catalitico è poco porosa, cosicchè vengono meno i più importanti presupposti per il contatto. Un conto dunque è fare prove di laboratorio, in ambiente sperimentale circoscritto e dove è facile fare misure, un altro eseguire rilevazioni di decadimento degli inquinanti in ambiente aperto e soggetto al ricambio continuo dell'aria sovrastante la superficie trattata. Da ultimo è decisamente sproporzionato il rapporto fra massa di aria da trattare e la superficie catalitica, cosicché è ininfluente, sul contenuto globale di inquinanti nell'atmosfera, la porzione abbattuta.
Qualche anno fa sono stati fatti esperimenti in diverse città, ma non ne sono stati pubblicati i risultati; avevamo chiesto informazioni a Segrate e Milano senza ricevere congrua risposta. Sul sito dell'Amministrazione comunale di Rovereto sono riportati però tre comunicati stampa relativi alle prove effettuate, ma non vi sono evidenze chiare. L'unica certezza è l'effetto quasi nullo sull'abbattimento delle polveri sottili, confermando quanto detto sopra.
Nulla si sa inoltre sulla durata del catalizzatore che, come tutti i catalizzatori ha una sua vita media, perché tende ad avvelenarsi, sulla consistenza dello strato e sulla resistenza all'azione abrasiva degli pneumatici. Parrbbe inoltre che lo strato di vernice "maniasmog", abbia un coefficiente di attrito minore, comparato con quello dell'usuale asfalto, con la conseguenza che gli spazi di frenata si allungano con tutti i pericoli conseguenti.
Ernesto Passoni

4 commenti:

  1. Vorrei sapere che tipo di sostanze rimangono dopo la catalizzazione sull'asfalto e il grado di tossicità e di solubilità di tali sostanze. Grazie.
    Marco Giumelli

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  2. La questione dell'asfalto fotocatalitico, come peraltro della malte e dei calcestruzzi facciavista fotocatalici, è riassumibile in due questioni: costano attualmente troppo per poter essere utilizzati su larga scala; l'effetto fotocatalico è legato alla pulizia della superficie esposta al sole e quindi l'effetto anti-inquinante si riduce col deteriorarsi della superficie utile.
    Bella idea, difficile realizzazione
    Stefano Valagussa

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  3. Gentile Sig. Marco Giumelli
    Nell'articolo ho già accennato al destino finale degli inquinanti atmosferici che sono tipicamenti monitorati dalle centraline ARPA e cioè il biossido di azoto (NO2), l'ossido di carbonio (CO), l'ozono (O3), le polveri sottili e sottilissime (PM 10 e 2,5). Il biossido d'azoto viene fotoossidato, in presenza di acqua, ad acido nitrico (HNO3) che, essendo molto reattivo si combina con un metallo mediante reazione con qualche composto inorganico reperito sul suolo e diventando un nitrato che, come è noto, in alte concentrazioni può costituire un inquinante delle falde acquifere; le quantità, qui in gioco,sono minime rispetto ai nitrati dai liquami delle deiezioni animali. L' ossido di carbonio viene fotoossidato ad anidride carbonica che non è un inquinante propriamente detto, ma va ad incrementarne il contenuto nell'atmosfera costituendo il principale gas serra; anche qui le quantità in gioco sono ininfluenti rispetto a tale contenuto. L'ozono è già al massimo stadio di ossidazione per cui non è direttamente interessato all'azione fotocatalitica del biossido di titanio; può interagire con altre molecole dell'aria, specialmente gli ossidi di azoto, eventualmente ritrasformandosi in ossigeno (O2). Per le polveri sottili non si hanno evidenze rispetto all'azione fotocatalitica, anzi sembrerebbe che siano poco o niente interessate, come riportato nell'articolo.
    Per completezza d'informazione va fatto un cenno ad altri inquinanti atmosferici. L' anidride solforosa (SO2) viene ossidata ad anidride solforica SO3 e reagendo con acqua e metalli diviene solfato che si solubilizza in acqua e non è inquinante alle bassissime concentrazioni in gioco. I composti organici derivanti dall'evaporazione della benzina (es. benzene) e quali sottoprodotti dalla sua incompleta combustione, probabilmente, vengono poco interessati dall'azione del catalizzatore, per cui rimangono inalterati e sono, presumibilmente, parzialmente abbattuti dalla pioggia andando ad inquinare, se pur blandamente, le acque superficiali e di falda. Il punto saliente in ogni modo rimane il fatto degli scarsi benefici a fronte dei costi.
    Cordiali saluti.

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  4. Grazie per la precisazione. Effettivamente, da quanto ha detto, l'asfalto sarebbe una spesa totalmente inutile. Staremo a vedere. Grazie.
    Saluti.

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