martedì 13 dicembre 2011

Il clandestino di Betlemme

Il popolo ebraico, a cui Gesù era legato secondo la carne e il sangue, si autodefiniva nella Bibbia come una comunità di «forestieri e pellegrini», tant'è vero che aveva codificato questa straordinaria normativa su cui dovrebbero riflettere anche molti legislatori sedicenti cristiani: «Vi sarà una sola legge sia per il nativo sia per lo straniero residente in mezzo a voi... Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli dovrete far torto, ma lo tratterete come colui che è nato fra voi; l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto» (Esodo 12, 49; Levitico 19, 33-34).
Ora, se leggiamo i 48 versetti dei primi due capitoli del Vangelo di Matteo, la tradizionale retorica natalizia si sfarina per lasciare intravedere una trama cupa: Gesù nasce in una grotta-stalla, è deposto non in una culla ma in una mangiatoia, si affaccia subito l'incubo di una repressione sanguinaria (la "strage degli innocenti") e la famigliola deve imboccare la via della clandestinità, riparando nel confinante Egitto. Come è evidente, è tutt'altro che artificiosa l'applicazione delle tormentate storie degli immigrati, dei nomadi, dei clandestini che occupano i nostri giornali alla vicenda del bambino Gesù di Betlemme.
Secoli dopo, un poeta cristiano cinese, costretto anche lui alla clandestinità in quanto perseguitato, Ai Qing (1910-1996), celebrava con questi versi il Natale del 1936:
«Dalla mangiatoia vengono lamenti che strappano il cuore.
Con innumerevoli dita
la folla segna la fanciulla-madre
sprezzata come immondizia,
nessuno è disposto a portarle un catino per il sangue».
Il pensiero va a certe madri straniere (ma non solo...) che partoriscono da sole, nascostamente, spargendo il loro sangue per terra e strappando malamente il cordone ombelicale.
Il Cristo reale è fratello degli ultimi della terra ed è per questo che aveva ragione Bertolt Brecht (sì, proprio l'ateo drammaturgo tedesco) quando nelle sue Poesie 1918-1933 scriveva i versi del suo "Natale dei poveri":
«Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori,
il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi,
volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario».

Sua Em.za Rev.ma Card. Gianfranco Ravasi
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (Città del Vaticano)

2 commenti:

  1. spiegatelo al nostro bravo sindaco leghista che dispensa regali e omaggi a ravasi con i nostri soldi, si fa lavara i piedi in chiesa, paga i concerti della parrocchia ma poi dà la caccia ai negri e agli zingari

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  2. spiegatelo anche al politico anonimo che guarda le donne nude in internet senza avere alcun pudore...

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